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POPOLAZIONE MONDIALE
(fine del XX secolo). La popolazione mondiale, che intorno al 1950 contava circa due miliardi e mezzo di abitanti, crebbe con un ritmo molto sostenuto nei decenni seguenti raggiungendo i quattro miliardi e mezzo nel 1980 e i 5,3 nel 1990. Un incremento ulteriore, decisamente elevato sia in termini assoluti che relativi, era inoltre atteso per il prossimo futuro. Infatti, secondo le stime elaborate dalle Nazioni unite nel 1990, si prevedeva che all'inizio del terzo millennio la popolazione mondiale plausibilmente sarebbe ammontata a 6,3 miliardi e che verso il 2025 avrebbe assunto valori intorno agli otto miliardi e mezzo, per poi stabilizzarsi intorno ai dieci miliardi nell'ipotesi che progressivamente si avviasse il previsto declino della fecondità. Questi dati erano in realtà la risultante di situazioni profondamente differenziate sotto il profilo geo-demografico ed economico-sociale. I tassi di incremento demografico erano decisamente differenti nei paesi industrialmente ed economicamente sviluppati e in quelli in via di sviluppo (così come sono notevolmente diversi i ritmi di crescita delle varie aree che compongono quest'ultimo gruppo).

LA FORBICE DEMOGRAFICA TRA SVILUPPO E SOTTOSVILUPPO. Nei paesi sviluppati la transizione demografica può dirsi ormai conclusa: i bassi livelli di natalità e mortalità davano luogo a tassi di incremento demografico molto contenuti, quasi nulli (è questa la situazione in cui si trovava negli anni novanta l'Italia) e, in rari casi, negativi. Si prevedeva che in complesso tali paesi fossero destinati nell'immediato futuro alla stagnazione o al regresso demografico. Nei paesi in via di sviluppo la transizione demografica si era avviata di recente, se pur con tempi diversi da luogo a luogo, grazie a un sensibile e rapido declino della mortalità. La fecondità, per contro, si era mantenuta su livelli generalmente elevati e anche là dove aveva iniziato a declinare ciò era accaduto con relativa lentezza e con ritmi molto diversi da quelli registrati per la mortalità. Ecco dunque le ragioni che spiegano gli eccezionali tassi di crescita fatti registrare nella seconda metà del secolo dalle popolazioni di queste zone. Fra il 1950 e il 1990 la popolazione dei paesi sviluppati era aumentata del 45%, mentre quella delle zone in via di sviluppo era cresciuta del 143%. E anche se i ritmi di incremento demografico delle aree in via di sviluppo stavano, in media, mostrando i segni di un progressivo rallentamento, per l'immediato futuro c'era da attendersi un ulteriore aumento del peso demografico di queste zone. Così, mentre nel 1950 la popolazione dei paesi in via di sviluppo rappresentava i due terzi della popolazione mondiale, nel 1990 tale rapporto era passato a più di tre quarti e, secondo le stime delle Nazioni unite, si prevedeva che nel 2025 sarebbe stato superiore ai quattro quinti. Le varie aree che compongono il complesso dei paesi meno sviluppati contribuivano in modo differente all'incremento demografico. I saggi di crescita più sostenuti erano propri del continente africano (in particolare l'area subsahariana), in fortissimo sviluppo demografico: la quota di popolazione africana che, nel 1950, rappresentava il 9% della popolazione totale, era passata nel 1990 al 12% e si prevedeva che plausibilmente avrebbe raggiunto nel 2025 valori prossimi al 19%. A ritmi molto intensi stava crescendo anche la popolazione dell'America latina, i cui tassi di incremento però non raggiungevano i valori africani. L'Asia in generale mostrava una dinamica demografica più contenuta, anche se tale comportamento complessivo era frutto di situazioni decisamente differenziate: una crescita demografica con saggi di incremento molto bassi in Cina, più dinamica in India e decisamente sostenuta negli altri territori asiatici.

LA FORBICE DELL'INVECCHIAMENTO. Il notevole incremento della popolazione osservato nei paesi in via di sviluppo, che spesso non a torto è stato definito esplosione demografica, stava portando a un più basso livello di qualità della vita e al contempo ne stava riducendo le possibilità di miglioramento: negli anni novanta il 75% dell'umanità viveva nel Terzo mondo e disponeva di solo il 20% del reddito mondiale. Il problema della crescita demografica non poteva essere trascurato, perché altrimenti più difficile da risolvere in seguito, in quanto una più ampia popolazione allora forniva il potenziale per un incremento ancora più grande nel futuro. Gli effetti dei differenti ritmi di crescita demografica non si manifestano solamente in un cambiamento dell'ammontare numerico della popolazione, ma determinano anche notevoli modificazioni nella sua struttura per età. Nelle popolazioni dei paesi del Terzo mondo, in virtù della elevata natalità, aumentò la percentuale dei bambini sul totale della popolazione (in conseguenza anche di una prima riduzione della mortalità infantile). Nei paesi sviluppati, grazie al continuo aumento della vita media, riuscivano a sopravvivere quote crescenti di persone anziane, mentre la contrazione della fecondità determinava la presenza di percentuali sempre più contenute di bambini e giovani. Così nei paesi europei dell'Ocse per ogni dieci anziani (persone con più di 65 anni) vi erano tredici ragazzi (con meno di 15 anni); nell'Africa subsahariana per ogni dieci anziani vi erano 159 ragazzi. Questi valori danno immediatamente la misura della vitalità demografica dei paesi meno sviluppati e dell'invecchiamento demografico di quelli più progrediti. Il Terzo mondo e i paesi industrializzati si trovavano dunque ad affrontare due problemi divergenti, ma ambedue legati alla struttura della popolazione: da una parte la presenza di troppi giovani, dall'altra di troppi anziani. Infatti, poiché le forze produttive nella maggior parte dei paesi si trovavano generalmente nelle classi di età comprese fra i 15 e i 64 anni, coloro che erano al di fuori di questo gruppo, perché più giovani o più vecchi, rappresentavano un peso per la società che poggiava su chi era economicamente produttivo.

LA DIPENDENZA DEMOGRAFICA. Per descrivere la situazione demografica e socio-economica di una popolazione si ricorse all'indice di dipendenza demografica dato dal rapporto fra la popolazione giovane e anziana e la popolazione in età lavorativa. Tale indicatore evidenzia che questa dipendenza era più elevata nei paesi in via di sviluppo rispetto ai paesi industrializzati (con una differenza percentuale pari a circa il 33%). Le situazioni estreme erano rappresentate da Africa ed Europa. Nel 1990 l'Africa aveva il più alto rapporto di dipendenza: 93 persone "improduttive" per ogni 100 persone in età lavorativa; in Europa nello stesso anno il rapporto era di 49 "inattivi" per 100 "attivi". Il carico di dipendenza era a livelli estremamente bassi nei paesi progrediti e decisamente elevati nel Terzo mondo, svantaggiato anche in questa occasione dalla congiuntura storica di quel periodo. Nei primi infatti la diminuzione della popolazione giovane era stata così forte da controbilanciare in misura più che proporzionale l'aumento della popolazione anziana, mentre nei secondi la quota della popolazione giovane non era ancora diminuita abbastanza per alleggerire il carico complessivo che si aveva sulla popolazione in età lavorativa. Un altro fenomeno stava prendendo consistenza nei paesi del Terzo mondo, mentre nei paesi sviluppati aveva segnato una battuta di arresto: l'urbanizzazione. All'inizio degli anni novanta la popolazione urbana dei paesi in via di sviluppo aveva raggiunto la cifra di un miliardo e 300 milioni di persone, in grado di aumentare di un altro miliardo circa entro i prossimi quindici anni. Secondo proiezioni delle Nazioni unite, entro il 2025 metà degli abitanti del Terzo mondo vivrà nelle città. La crescita di popolazione urbana (che in termini assoluti riguarderà soprattutto l'Asia, l'America latina e in minor misura l'Africa) sarà in massima parte dovuta alla crescita naturale della popolazione già residente nelle città, e in parte deriverà dall'immigrazione proveniente dalle campagne e dall'inglobamento dei villaggi nei comuni urbani. Nel 1960 solo tre dei dieci agglomerati urbani più grandi del mondo si trovavano nei paesi in via di sviluppo, e solo uno di essi, Shanghai, superava i dieci milioni di abitanti. Per il 2000 nel Terzo mondo si prevedono diciotto città con più di dieci milioni di abitanti, otto delle quali fra le dieci città più grandi del pianeta. I grandi movimenti di popolazione verso le città stavano anche trasferendo alle aree urbane i maggiori oneri della povertà e si prevedeva che negli anni a venire il numero di famiglie urbane in condizioni di povertà sarebbe aumentato ulteriormente. A ciò si aggiunga che tutti i tentativi messi in atto per affrontare direttamente la povertà urbana avevano finito per attirare altri poveri dalle zone rurali. La situazione demografica mondiale era dunque in profonda e rapida trasformazione: i problemi che essa poneva non erano certamente di facile soluzione, né senza pesanti ripercussioni sullo sviluppo economico e sociale dell'umanità intera.

A. Samoggia


United Nations, World Population Prospects 1990, Population Studies n. 120, New York 1991.
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